Salute e sicurezza sul lavoro nella storia
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La sicurezza sul lavoro è un argomento che negli ultimi anni è sempre più sentito. Tuttavia, i dati sugli infortuni e le vittime sul lavoro nel nostro Paese e nel mondo sono ancora ben lontani dal raggiungere gli standard auspicati. Oggi, tematiche come prevenzione e tutela dei lavoratori sono all’ordine del giorno, ma ovviamente non è sempre stato così.

Solo recentemente, a livello normativo, i lavoratori hanno conquistato un adeguato livello di tutela, ma la strada per conquistare tali diritti è stata lunga e complessa. Sono state numerose le tappe di questo processo che anche in Italia è ancora in evoluzione.

La storia della sicurezza sul lavoro

Già nel IV secolo a.C. Ippocrate aveva intrapreso studi sul rapporto esistente tra malattie e lavoro, divenendo di fatto il precursore della medicina del lavoro. Qualche secolo dopo, nel I secolo d.C. l’imperatore romano Tiberio Claudio Druso decise che gli schiavi ammalati dovevano essere considerati liberi qualora fossero guariti. In epoca medievale operavano invece le corporazioni di arti e mestieri che assistevano i propri associati garantendo loro cure ed assistenza. Solo nel 1700, Bernardino Ramazzini professore di medicina all’Università di Modena e Padova, pubblicò la prima edizione del trattato “De Morbis Artificum Diatriba”. Ramazzini realizzò così il primo lavoro sulle malattie occupazionali recandosi personalmente nelle officine e investigando circa 40 occupazioni, descrivendo per ciascuna di esse i rischi per la salute dei lavoratori e i possibili rimedi.

Tuttavia, fino alla prima parte del 1800 non vi era mai stata una specifica attenzione legislativa riguardo alla tutela della salute e della sicurezza su lavoro. La prevenzione del rischio veniva affidata esclusivamente alla sensibilità del proprietario della fabbrica o del cantiere e all’attenzione dei singoli lavoratori con tutti i limiti del caso.

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L’inizio della prevenzione infortuni

La prima vera legge è datata 1833 e fu l’Inghilterra con il Factory Act ad istituire i primi 4 ispettori di fabbrica che avviarono un dibattito sulle condizioni di lavoro che diede il via a nuove norme di prevenzione e protezione infortuni.

In Germania già nel 1884 venne approvata la legge sull’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, inoltre venne introdotto il riconoscimento delle cure mediche e della pensione per gli infortunati e furono emanate le prime norme di prevenzione degli infortuni. Tuttavia, solo nel 1973 si stabilì l’obbligo legale per il datore di lavoro di assumere un medico aziendale e uno specialista in sicurezza sul lavoro.

In Francia la prima legge sulla salute e sicurezza sul lavoro negli stabilimenti industriali fu emanata nel 1893. Diversa invece la situazione negli Stati Uniti, dove le prime vere leggi arrivarono solo negli anni sessanta del ‘900. Successivamente, nel 1970 la Occupational Safety and Health Act istituì la OSHA (Occupational Safety and Health Administration) con l’obiettivo di garantire la salute e la sicurezza sul lavoro mediante l’introduzione di opportuni standard e con la sorveglianza sull’applicazione degli stessi.

La situazione in Italia e l’iter normativo fino ai giorni nostri

In Italia fu la legge 80 del 1898 a rendere obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, mentre con i regi decreti del 1899 si emanarono i primi regolamenti in materia di salute e sicurezza:

  • Regio decreto sul “Regolamento generale per la prevenzione degli infortuni nelle cave e nelle miniere”
  • Regio decreto sul “Regolamento generale per la prevenzione degli infortuni nelle imprese e nelle industrie che trattano materie esplodenti”

All’inizio del nuovo secolo, nel 1912, la legge 1361 istituì l’Ispettorato del lavoro, mentre le successive norme furono emanate solo dopo la fine della seconda guerra mondiale. In un periodo di grande attivismo edilizio per la ricostruzione post-bellica, venne elaborato il primo “corpus” normativo prevenzionale organico nazionale, costituito da diversi decreti emanati negli anni Cinquanta, tra cui il DPR 164/56 sulla sicurezza nei lavori nelle costruzioni. I decreti stabilirono standard tecnici prevenzionali molto evoluti per l’epoca, la cui adozione venne resa obbligatoria per il datore di lavoro, pena la sua responsabilità penale. Tuttavia, le norme emanate non fornirono sufficiente importanza all’informazione, formazione, addestramento e partecipazione dei lavoratori sugli aspetti di salute e sicurezza del proprio lavoro.

La svolta a livello europeo

L’art.2087 del Codice civile imponeva l’obbligo al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori, non legandolo a violazioni di standard prevenzionali del momento, che potevano essere superati dall’evoluzione tecnologica. Successivamente, con il recepimento delle direttive sociali – emanate dalla Comunità Europea (oggi Unione Europea) in attuazione dell’art.153 del Trattato di Roma del 1957 – le norme a tipologia prescrittiva, tipica degli anni Cinquanta, evolverono verso quelle a carattere prestazionale, in cui la valutazione dei rischi assunse un ruolo importante, al di là degli standard tecnici normativi esistenti. Le nuove norme previdero così il coinvolgimento dei lavoratori nella politica della sicurezza aziendale, focalizzandosi sull’informazione, formazione e addestramento dei lavoratori e introdussero nell’organigramma aziendale nuove figure professionali: i responsabili del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), i medici competenti e i coordinatori per la sicurezza.

Le direttive sociali fecero nascere prima il D.Lgs. 277/91 sui rischi rumore, piombo e amianto, quindi il D.Lgs. 626/94. Per quanto riguarda i cantieri viene emanato il D.Lgs. 494/96 che recepì la direttiva 92/57/CEE. Ulteriori norme si susseguirono a quelle già emanate negli anni Cinquanta con il risultato di un intreccio di norme non integrate tra loro.

Per tale motivo nel 2008 venne effettuato un riordino normativo con l’emanazione del D.Lgs. 81/2008, modificato ed integrato negli anni successivi.

I dispositivi di protezione individuali (DPI) e le nuove tecnologie

L’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale ebbe inizio solo a partire dal Novecento, infatti il casco di protezione era previsto solo per uso militare fino alla Prima guerra mondiale. Il primo casco protettivo per lavoratori fu progettato e brevettato nel 1919 da un’azienda californiana di attrezzature minerarie; era prodotto in tela, colla e vernice nera e fu utilizzato per la prima volta nella costruzione del Golden Gate Bridge a San Francisco. Da allora vi è stata un’evoluzione tecnologica significativa e questo ha consentito di garantire maggiori tutele ai lavoratori. Secondo una ricerca del 2019 di Impronta Business Solutions, il fatturato delle imprese produttrici e distributrici di DPI ha raggiunto un valore aggregato superiore al miliardo di euro soltanto in Italia. Questa crescita, che ovviamente non ha riguardato solo il nostro Paese, ha consentito di tutelare maggiormente anche le categorie storicamente più a rischio come ad esempio quella dei lavoratori isolati.

Questo è stato possibile proprio grazie all’innovazione tecnologica che ha portato allo sviluppo dei cosiddetti dispositivi uomo a terra. Tali sistemi hanno rappresentato una svolta nella storia della tutela dei lavoratori, consentendo la trasmissione di allarmi automatici in grado di allertare istantaneamente i soccorsi quando si verificano situazioni di emergenza come cadute, malori o aggressioni.

dispositivo-uomo-a-terraGuardiamo al futuro

L’attenzione alla sicurezza è cresciuta ancor di più dopo la pandemia e, sia a livello legislativo sia in termini di innovazione tecnologica, il processo di evoluzione è ancora in atto. In questo contesto il supporto di un esperto può fornire un importante aiuto per individuare le soluzioni più adeguate alla singola esigenza e prepararsi alle novità che riserverà il futuro.

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